Autore: Eleonora Campus
Le Nazioni Unite hanno recentemente commissionato al Dipartimento di Informazione Pubblica una nuova immagine grafica della disabilità da utilizzare per il proprio sito. E’stato quindi creato e proposto un nuovo simbolo dell’Accessibilità denominato dall’ONU “Logo dell’Accessibilità” (Accessibility logo).
Proviamo ora ad interpretare e spiegare questa nuova proposta partendo proprio dalla guida pubblicata sul sito dell’ONU (le parti virgolettate ed in corsivo sono testualmente prese dal sito dell’ONU, traducendo in Italiano la versione inglese).
Il logo proposto simboleggia una “figura umana” stilizzata (in movimento e non statica sul computer) “universale a braccia aperte” inclusa e collegata a un cerchio “per rappresentare l’armonia tra gli esseri umani nella società”.
A parere di chi scrive, il cerchio non costringe al suo interno la persona umana “simmetrica” ma la collega nella sua area “per rappresentare l’armonia tra gli esseri umani nella società” racchiudendo e simboleggiando invece la “portata globale di questo logo”. Quello che esprime la “figura umana” è la sua universalità e “a braccia aperte simboleggia l’inclusione per le persone di “tutte le abilità”, in tutto il mondo”. Le braccia aperte presumibilmente significano l’accoglienza e che l’intento delle Nazioni Unite è quello di un logo omnicomprensivo.
“Il logo dell’accessibilità è stato creato per… :
• “essere usato sui prodotti di informazione pubblica stampati o in formato elettronico al fine di aumentare la consapevolezza sui problemi legati alla disabilità. Il logo può essere usato per simboleggiare prodotti, luoghi e tutto ciò che è adatto ai bisogni della disabilità o Accessibile
• rappresentare l’accessibilità per le persone con disabilità. Questo include l’accessibilità alle informazioni, ai servizi, alle tecnologie di comunicazione, così come l’accesso fisico
• simboleggiare anche la speranza e la parità di accesso per tutti”.
L’ONU chiarisce inoltre che “il logo dell’accessibilità è neutrale e imparziale”. Ne consegue l’intenzione anche di superare l’idea di categorizzare graficamente la disabilità nel vecchio e stretto perimetro della sedia a rotelle perché l’ONU mira a rappresentare i valori universali dell’inclusione che devono riguardare ogni essere umano. Inoltre, “L’uso del logo non implica l’approvazione da parte delle Nazioni Unite o dal Segretariato delle Nazioni Unite”.
Nonostante le intenzioni lodevoli nell’obiettivo di aprire nuovi orizzonti – a livello internazionale – sempre più inclusivi, non mancano i dubbi. Ci dobbiamo chiedere se questo nuovo simbolo possa adeguatamente rappresentare la disabilità.
Prima considerazione:
Secondo alcuni, è difficile abituarsi a un nuovo logo perché si rischia di non “identificare” la disabilità e quindi anche di non arrivare a una presa di coscienza su di essa. Insomma: la vecchia sedia a rotelle era diventata “consuetudinaria” e “simbolo” di un percorso storico della disabilità stessa (anche se non comprende tutte le diversità umane e tutte le condizioni di disabilità). Nella generalità del logo mancherebbe un messaggio più specifico in grado di raggiungere immediatamente “tutti” (persone con disabilità e senza disabilità), mancherebbe una mediazione tra presente (abitudine) e futuro (cambiamento). Tuttavia, occorre sottolineare che dalle consuetudini prima o poi bisogna pur cominciare a tentare di uscire se si vuole volgere a un cambiamento realmente omnicomprensivo.
Seconda considerazione:
Il problema più grande invece – a parere e dubbio di chi scrive – è un altro poiché non si può fare a meno di notare che la figura stilizzata dell’ONU, riporta all’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci che rappresentò la figura “ideale” di uomo in armonia con se stesso e con il mondo che lo circonda. Quello di Leonardo è un uomo perfetto all’interno di due figure geometriche (un cerchio e un quadrato) considerate a loro volta perfette dal filosofo greco Platone. Vedere la figura seguente:
Ciò spinge ad una riflessione: partire dalla “perfezione” di Leonardo – che si può notare anche nella sua rappresentazione grafica con un corpo ideale e non stilizzato – rischia di far apparire il logo dell’ONU come una caricatura dell’uomo vitruviano, un uomo di “serie B” già nella rappresentazione grafica che invece di essere un modello allargato, “neutrale e imparziale” comprensivo di “tutti”, verrebbe identificato solo per le persone con disabilità qualora anche mentalmente ognuno riuscisse a staccarsi dalla rappresentazione della vecchia carrozzina.
Questo perché l’immagine del nuovo logo dell’Accessibilità richiama un disegno fatto da un bambino nella sua essenzializzazione estrema del corpo umano e la testa è un cerchio staccato dal corpo come se questo fosse un accessorio a se stante rispetto alla mente, ai sentimenti, all’anima (per chi crede in quest’ultimo caso). Oltretutto la stilizzazione non comprende neanche il busto: braccia e gambe si uniscono immediatamente. Ma il corpo non è una zavorra di cui liberarsi: esso è parte essenziale sia delle persone con disabilità che delle persone senza disabilità. Banalizzare il corpo in una stilizzazione spartana (tutto sommato bruttina e carente), staccarlo dalla testa, rischia di non far riconoscere alle persone con disabilità una delle parti essenziali (cioè l’aspetto carnale) di tutte le persone umane che sono un “unico” fatte di testa, anima, cuore e corpo. Più specificatamente poi, si rischia anche di ricadere nel vecchio pregiudizio di una “corporeità negata” – alle persone con disabilità – da sempre rivendicata e mai riconosciuta (almeno ad oggi) perché considerate “disincarnate”, angeli senza corpo e genere.
Un’altra osservazione: l’uomo Vitruviano di Leonardo si basava sulla perfezione geometrica di Platone. Riprendere quel modello da parte dell’ONU, seppur stilizzato e modificato, rischia di sostenere proprio quell’idea dell’uomo perfetto perché le Nazioni Unite affermano di voler rappresentare “tutte le abilità”.
Occorre dire invece che la disabilità fa parte della diversità umana, come affermato prima dalla Dichiarazione di Madrid del 2002 e poi proprio dalla Convenzione dell’ ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 laddove parla di “capacità” in quanto, il Trattato poggia concettualmente sull’”approccio delle capacità” dell’economista indiano nonché premio NobelAmartya Sen, sviluppato ulteriormente da Martha Nussbaum ed altri. Tale approccio riposiziona la “diversità umana” come centrale per valutare i vantaggi e gli svantaggi individuali al fine di spiegare le ineguaglianze sociali. Il modello delle capacità affronta la complessità della disabilità come uno degli aspetti dell’eterogeneità umana che può essere riletta in un percorso anche (perciò non “solo” o “sempre”) in termini di nuove abilità (rompendo anche il paradigma terribile delle cd. “abilità residue”), opportunità, potenzialità. In questo senso infatti, le “capacità” di ogni essere umano sono viste come una “serie di opportunità potenziali” a disposizione per arrivare a determinati “funzionamenti effettivi” e cioè a realizzare realmente determinati risultati e la qualità della vita che ognuno preferisce per condurre una vita dignitosa.
Nell’approccio delle capacità, rispetto a Platone (e dunque all’idea di perfezione geometrica dell’uomo di Leonardo) ritroviamo solo la “Ragion Pratica” e cioè l’essere in grado di sviluppare una concezione di ciò che è bene e impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita (attraverso la tutela della libertà di coscienza). Ma l’impostazione essenziale di tale approccio è fortemente Aristotelica in termini di opportunità e libertà di scelta della qualità dell’esistenza dignitosa che si preferisce vivere.
Tutto questo porta a concludere che se l’ONU parla di “tutte le abilità” e non di eterogeneità umana e capacitazioni (cioè le capacità come intese dall’approccio alle capacità) rischia di fare un passo indietro facendo intendere in quel “tutte” il vecchio concetto di “abilità diverse”, addirittura da ricercare come “residue”, e non la “diversità di tutta l’umanità”. Non solo, rischia anche di cadere nel pregiudizio “dell’abilismo” ove si parte da una scala di misurazione delle abilità umane partendo da dei criteri cd di normalità che – ovviamente – misurerebbero anche le persone con disabilità stabilendo il distacco da quello che la maggior parte della società considera “normale”.
Concludendo, l’impegno e l’intenzione dell’ONU nel promuovere il nuovo logo della disabilità come omnicomprensivo è sicuramente lodevole. Ciò non toglie muovere riflessioni e critiche allo scopo costruttivo di valutare, integrare e modificare eventuali storture così da raggiungere sempre più ed effettivamente una comunicazione, una presa di coscienza e una vera inclusione rispettosa ed aderente alla dignità e alle esigenze delle persone con disabilità.
Forse questo scritto a qualcuno potrà sembrare sostenere una visione “esasperata” o “avventata”: a ciò si può rispondere sostenendo che non è più tempo per “la prudenza” delle idee, non basta più. Per fare in modo che tutto cambi occorre iniziare a portare avanti idee realmente progressiste e temerarie (fondate su autori anglosassoni e sviluppate da pochi ricercatori universitari nel nostro Paese) nel rileggere la disabilità, comprenderla davvero e arginare fenomeni di discriminazione subdola che stanno prepotentemente manifestandosi – o rimanifestandosi – ai giorni nostri.
2 aprile 2016
Eleonora Campus