“Dopo di noi” la legge che divide. “Incentiva il ricovero, non la domiciliarità” .

Si alimenterebbe il flusso di denaro verso “imponenti interessi affaristici istituzionalizzanti, come il gruppo Kos, anche con i lasciti dei familiari. Perché non formare appartamenti condivisi all’interno di una rete assistenziale? Non servirebbe neanche una legge per questo”

ROMA -La proposta di legge sul “Dopo di noi”, che il governo sta prendendo in esame, non va bene: è quel che pensano alcune famiglie, “caregiver” impegnati ogni giorno nell’assistenza di figli con disabilità. Come Chiara Bonanno, che critica in particolare il ricorso all’istituzionalizzazione come soluzione prospettata dalla proposta di legge. “Si cerca di alimentare il flusso di denaro incanalato verso gli imponenti interessi affaristici istituzionalizzanti: tanto per fare un esempio la Kos, controllata da Cir (Compagnie industriali riunite, che fa capo a De Benedetti) e partecipata dal fondo AxA Private Equity, opera nella sanità socio-assistenziale. Costituito nel 2003 con il nome di Holding Sanità e Servizi – spiega Bonanno – Kos è attiva nella gestione di residenze sanitarie assistenziali: il suo gruppo è uno dei principali operatori italiani del settore, con oltre 63 strutture gestite nel centro-nord Italia. Ora, la proposta di legge prevede di incentivare questo soggetto con un maggior afflusso economico, formato anche dai beni e dai lasciti ereditati dai familiari delle persone disabili!”. Il riferimento è, in particolare, agli articoli 5 e 6 della proposta di legge n. 1352, relativi ai “fondi di sostegno” e alla loro gestione. “La cosa peggiore – osserva – è che l’attuale contesto politico, volto a favorire le imprese istituzionalizzanti, sta di fatto diluendo ogni possibilità di controllare come questi fondi arrivino realmente al soddisfacimento dei bisogni assistenziali dei cittadini alla quale sono destinati”.

Il “dopo di noi” in casa propria.

Perché non incentivare e sostenere, al contrario, un modello di “dopo di noi nella propria casa”, come quello che da tempo propongono alcuni caregiver? E’ questa la proposta che rilancia con forza Chiara Bonanno: “E se si lasciasse la persona con disabilità nella propria casa? Se si adibissero quegli appartamenti ereditati (o anche alloggi di edilizia popolare, il 15% dei quali – per una legge già esistente e mai applicata – dovrebbero esser destinati proprio a sostegno di simili finalità) per l’ospitalità di massimo tre o quattro persone con disabilità vissute nello stesso quartiere, creando un contesto assistenziale formato, oltre che dal personale assunto, anche da quella rete che negli anni si è formata intorno alla persona disabile, fatta di vicini, conoscenti, parenti ed amici e perfino servizi locali, sfruttando la spontanea vigilanza sulla qualità di vita dei membri più deboli?”. Un modello che peraltro alcune piccole realtà associative, come la cooperativa Lai di Isernia, stanno già pensando di sperimentare. “Non serve nemmeno una legge sul ‘dopo di noi’ per far questo – spiega ancora Bonanno – Basterebbe applicare i proclami legislativi all’inclusione delle persone con disabilità, divenuti ormai carta straccia, che parlano di progetto personalizzato e progetto di vita, sostegno alla famiglia ed alla rete sociale, supporto alla domiciliarità…Basterebbe pensare alla persona con disabilità come ad un individuo detentore di diritti umani e non un pretesto per fare business”.

Il “vizio” dell’istituzionalizzazione.

Invece, l’istituzionalizzazione continua ad essere, secondo Bonanno, la soluzione privilegiata dalle istituzioni. “Quando una comunità esclude, nasce il ghetto, ovvero un luogo dove le persone ‘difettose’ vengono contenute in maniera che non disturbino, con la loro presenza, i normali. In Italia, soprattutto negli ultimi anni, questi luoghi un tempo erano semplicemente chiamati istituti ,mentre adesso vengono indicati con una serie di sigle e/o declinati in lingua straniera: Rsa, Cdd, Cdi, Rsd, Residenze sociali assistite o Hospice vari.Negli anni 70-80 le leggi italiane fornirono un chiaro indirizzo nell’assistenza dei cittadini con disabilità, dopo aver toccato con mano non solo la condizione di grave abuso dei diritti umani, ma anche l’enorme costo economico e sociale che gli istituti segreganti recavano alla collettività: nacquero così l’obbligo ed il diritto all’integrazione o inclusione sociale. Ma tale sprazzo d’illuminata consapevolezza in Italia è durata poco – osserva Bonanno – e mentre nel resto d’Europa, quasi senza alcun proclamo all’integrazione ed ai diritti umani, si passava ad un massiccio investimento dello Stato nel sostegno a domicilio della persona con disabilità, in Italia si è invece assistito ad una dilagante ripresa di interessi affaristici, connotati dal raggruppamento delle criticità in contesti sempre più distanti dalla quotidianità dei ‘sani’. In nome della massima ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’, le persone più indifese e che hanno più necessità del supporto degli altri, vengono letteralmente ammassate in luoghi isolati, cercando di ‘ottimizzare’ i costi, impiegando sempre meno personale nella loro gestione”. Lo dimostra i fatto che “nelle Rsa i costi per il personale di assistenza rappresentano solo il 30% dell’intero costo di gestione. Basta fare due conti per scoprire che una grande fetta la prende la parte amministrativa, un’altra le spese di rappresentanza, un’altra le spese per i dirigenti, il profitto, il mantenimento della struttura: ma quanto di tutto questo produce reale benessere alla persona con disabilità ricoverata?”. Il rischio è, in definitiva, che la legge sul Dopo di noi, così come presentata nelle proposte in discussione alla Camera, possa incentivare e incrementare questo modello istituzionalizzante, che “fa scivolare qualsiasi individuo in quello stato di ‘alienazione del sé’ che la molteplicità di studi scientifici prodotti ha dimostrato non essere un’esistenza qualitativamente degna”.

(Chiara Ludovisi)

(1 agosto 2014)

Tratto da SuperAbile
http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Superabilex/Inchieste_e_dossier/info-2023930926.html