Essere curati a casa permette a bambini e adulti di vivere la malattia con serenità. Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana ad oggi non lo permettono
Le malattie lisosomiali sono patologie genetiche rare che possono causare sintomatologie disabilitanti di vario grado, fino a condurre alla morte. Sono dovute alla mancata presenza di alcuni enzimi necessari allo smaltimento dei prodotti di scarto delle cellule: l’accumulo di tale materiale può comportare danni cardiaci, vascolari, renali e neurologici.
RARE MA NON TROPPO – Malattie come la Mucopolisaccaridosi, la malattia di Fabry, la malattia di Gaucher e la malattia di Pompe – che singolarmente colpiscono pochi individui ma che hanno un’incidenza complessiva di 1 caso su 7.700 nascite – possono infatti comportare non solo danni fisici ma anche disabilità intellettiva. Si tratta però di patologie che oggi possono essere diagnosticate precocemente –tramite screening neonatale – e per le quali esistono delle terapie, in grado di ridurre la progressione e prevenire i danni più gravi.
LA TERAPIA – La terapia enzimatica sostitutiva (ERT) – si chiama così perché fornisce ai pazienti l’enzima assente o carente – permette, infatti, a chi è affetto da queste malattie, di vivere una vita quasi normale. Parliamo però di una terapia che deve essere eseguita mediante infusione endovenosa lenta, in regime di day hospital, e che dovrà essere seguita per tutta la vita. Ciò significa che i pazienti devono recarsi settimanalmente o quindicinalmente, secondo la malattia, presso il centro di riferimento regionale per la malattia, che è quasi sempre uno dei presidi ospedalieri regionali più grandi. Il che si traduce nel percorrere molti chilometri, assentarsi da scuola o dal lavoro, vivendo la malattia con grande sofferenza. Al disagio, oltre che ai costi, delle trasferte, si aggiunge quello del tempo sottratto allo studio, agli amici, agli hobby e, cosa che pesa molto a tanti pazienti, la paura di perdere il lavoro, soprattutto se precario.
UNA VITA MIGLIORE – “Per questi pazienti esiste oggi la possibilità di vivere una vita migliore. – spiega la Prof.ssa Daniela Concolino, Responsabile del Centro Regionale Pediatria Genetica e Malattie Rare, dell’Università Magna Grecia di Catanzaro – Abbiamo messo a punto e realizzato proprio qui all’Università dei protocolli clinici, grazie ai quali i pazienti possono ricevere a casa la terapia: senza doversi recare in ospedale, senza perdere giornate di scuola o di lavoro ma garantendo la stessa sicurezza della somministrazione ospedaliera.”
La terapia domiciliare per queste patologie è resa possibile grazie all’attivazione, da parte di due aziende farmaceutiche produttrici della terapia, che si fanno carico dei costi dell’assistenza a domicilio, di due distinti progetti. Si tratta di Shire (col progetto ert@home) e Genzyme (col progetto Tutor), che hanno sottoscritto severi protocolli clinici. La terapia domiciliare viene proposta dal medico specialista ai pazienti stabili, per i quali è sufficiente il monitoraggio di un infermiere specializzato. E’ importante ricordare che la domiciliare è una possibilità offerta ai pazienti, che sono liberi di decidere di continuare la terapia in ospedale se lo desiderano.
IL VANTAGGIO PER IL SSN – “Abbiamo la possibilità di evitare ai pazienti la permanenza in ospedale – continua Concolino – con un notevole risparmio per il SSN in termini di risorse umane e di costi di consumo. I pazienti hanno a disposizione infermieri specializzati che si adattano ai loro orari e alle loro esigenze e i bambini possono fare la terapia mentre guardano i cartoni o giocano al pc, ma sono comunque strettamente monitorati dal centro di riferimento. L’aderenza alla terapia e il miglioramento della qualità di vita di questi pazienti e delle loro famiglie sono incredibili. Purtroppo però questo progetto non è ancora attivo in tutte le regioni italiane.”
LE DISPARITA’ REGIONALI – Regioni come Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana non offrono ai pazienti la possibilità della terapia domiciliare. “In queste regioni è mancata la volontà di aderire al progetto sostenuto dall’industria e non è stata offerta ai pazienti alcuna alternativa. Sono quindi costretti a effettuare la terapia in ospedale, nonostante la domiciliare sia un modello clinico sicuro, rigoroso e di successo.”
Risiedere in queste regioni, pur molto avanzate per altri settori clinici, è dunque un ulteriore dramma che si aggiunge al vivere una malattia così rara e disabilitante. Ce ne ha parlato anche la signora Angela Betti, che aveva iniziato il programma di terapia domiciliare in Toscana che è stato poi sospeso, senza fornirle motivazioni né alternative.
IL CASO – “La diagnosi di malattia di Fabry è arrivata a 48 anni, non sapevo di essere portatrice sana della patologia. L’ho scoperto in seguito alla morte di mio nipote per un ictus giovanile, aveva la Fabry e tutta la famiglia è stata sottoposta a indagine genetica. Così sia io che mia sorella abbiamo iniziato la terapia sostitutiva per prevenire i danni della malattia: ogni 15 giorni dovevamo fare 50 chilometri, per recarci a Firenze e passare qualche ora in day hospital per infusione e monitoraggio. Nonostante la precisione e la puntualità di medici einfermieri si tratta sempre di due giorni al mese passati in ospedale. Quando mi hanno proposto la possibilità della terapia domiciliare ho accettato con grande piacere.”
Angela ha quindi potuto sperimentare la terapia a domicilio con grande soddisfazione, durata però solo pochi mesi. “Ho iniziato la domiciliare a novembre 2011, ma a giugno 2012, da un giorno all’altro, mi hanno avvisata che la Regione Toscana ha deciso di interrompere il servizio.” A nulla sono valse le richieste dei pazienti toscani, il programma di assistenza domiciliare (ADI) della Regione Toscana non è stato in grado di farsi carico della somministrazione a domicilio quindi Angela è tornata in ospedale.
I PAZIENTI PRIMA DI TUTTO – “Migliorare la qualità della vita dei pazienti dovrebbe essere il primo obiettivo del SSN. – spiega Flavio Bertoglio, presidente della Consulta Nazionale delle Malattie Rare (CNdMR) e dell’associazione AIMPS (Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi e Malattie Affini) – Con l’Home Therapy peraltro il Sistema Sanitario non ha che da risparmiare. Il modello di terapia domiciliare creato per le lisosomiali dovrebbe essere applicato a tutte le patologie possibili, non certo rifiutato. L’immotivato diniego di alcune regioni ci lascia alquanto perplessi, speriamo di poter andare in fondo alla questione quanto prima.”
“Mi preme inoltre ricordare – conclude Bertoglio – che in Italia i problemi sono molti: non tutte le regioni garantiscono un adeguato screening neonatale, per riconoscere e curare tempestivamente le malattie rare. Inoltre siamo ancora in attesa dell’aggiornamento dell’elenco delle 109 patologie rare, del PNMR (il Piano Nazionale Malattie Rare) e dei LEA, strumento che dovrebbe tutelare i cittadini più fragili.”
PER INFO:
Progetto ert@home:
Per saperne di più sulle patologie da accumulo lisosomiale