Riflessioni condivise per un percorso di scoperta e riscoperta

Per illustrare lo spirito ed i presupposti conoscitivi, in gergo specialistico epistemologici, di questa ricerca, a cui spero alcuni di voi (a magari tutti) sceglierete di dare il vostro apporto esperienziale, attraverso la compilazione del questionario proposto, prendo a prestito “emozioni, espressioni ed emozioni” suggeritemi da una cara amica.
Vite (non degne di essere vissute secondo una frase tristemente nota a livello storico) che desiderano “vita”, che anelano a potersi abbeverare alla fonte dell’energia vitale, che sperano di potersi finalmente “buttare” nel mare delle possibilità, scegliendo anche di farsi male fisicamente (tanto al dolore la disabilità ci ha abituato, e si tratta di una disabilità che non fa sconti, dove la sofferenza, che spesso si trasforma in insofferenza, fisica ed emotiva, diviene ahimè carta fin troppo conosciuta), ma anche emotivamente.
Perchè chi soffre sente e chi sente è vivo.
E così può scegliere anche di cambiare strada di nuotare in un’altra direzione nel mare “insidioso” dell’esistenza (o al contrario troppo piatto, e già scritto “dall’alto” di verità e certezze che assumono la fisionomia di atteggiamenti pregiudiziali e stereotipi).
Questa possibilità di cambiare strada, di poter scegliere se restare in acque calme o avventurarsi in mare aperto, anche nella propria vita emotiva e sessuale, a costo di soffrire, prende il nome di principio di autodeterminazione.
Scegliere per la propria vita e riuscire a sviluppare una consapevolezza tale che consenta di farlo davvero. Scegliere per incontrare l’altro da sè, ed attraverso di lui/lei, se stessi. I se stessi dimenticati o mai conosciuti.
Sperimentare, attraverso il corpo dell’altro, i propri confini, le proprie geometrie, ed anche i propri limiti, sia corporei che emotivi.
Ma avere anche la possibilità di comprendere che è possibile imparare, o reimparare, a percorrere una strada sensoriale ed emozionale diversa, ognuno secondo il proprio sentire riscoperto, quella via che viene mostrata dal dialogo di corpi ed anime. Una possibilità di “sentire”, che sia possibile sperimentare “in solitaria” o scegliere di condividere e che, se agita, può portare a vivere nuove opportunità di crescita e di adeguatezza sociale.
Una legittima richiesta di appropriatezza di sensazioni ed esperienze rispetto alla propria età biologica, ai propri spontanei desideri, alla vita che comunque si vorrebbe vivere, ma anche maggiore l’anelito a una maggiore libertà (una libertà che purtroppo attualmente a volte è nulla) rispetto alle pressioni di un contesto sociale di appartenenza che detta regole “tiranniche”, che esercitano pressioni e relegano le persone con disabilità all’angolo della compagine di consociati.
Perchè l’amore, innanzi tutto per se stessi prima ancora che per un altro o un’altra, è un demone, un daimon, che si palesa grazie alla consapevolezza di sè, emotiva ma anche sessuale, che si può maturare solo attraverso il contatto e l’interazione con l’altro da sè.
Per dirla con le parole di Platone, esso nasce dall’incontro tra l’abbondanza (di stimoli ed esperienze aggiungeremmo), che il filosofo chiama Poros, e la loro penuria, cioè la Penia.
Ma se l’amore (in senso lato) è costretto a nutrirsi solo di “mancanze”, ecco spuntare quel senso di inadeguatezza, padre dell’handicap, cioè dell’incapacità di rispondere adeguatamente alle aspettative di ruolo della società. Un’incapacità non ascritta ed intrinseca, bensì frutto di un ambiente, fisico e sociale, ostile.
Quel senso di inadeguatezza, poi, genererà frustrazione crescente…

Spero vorrete intraprendere questo viaggio di scoperta conoscitiva e scientifica con me e contribuire ad arricchirlo con le vostre opinioni ed emozioni.

Al seguente link è possibile trovare una nota metodologico-esplicativa contenente i presupposti e le istruzioni di compilazione del questionario http://www.locanda-almayer.com/

Grazie

Tania Sabatino