Dai tribunali alle manifestazioni: quei tagli illegittimi alla disabilità e le vite spezzate

Autore: Eleonora Campus

Il TAR con tre sentenze (sentt. n. 02454, n. 02458, n. 02459 del 2015)  ha accolto il ricorso delle persone con disabilità e famiglie,  ed ha riconosciuto che le somme date a titolo di risarcimento e/o di compensazione ai soggetti  in grave condizione di disabilità non devono essere considerate reddito. Il Governo, nonostante le sentenze fossero – a partire da febbraio 2015 –  immediatamente esecutive  per tutti gli interessati e in tutta Italia, le ha ignorate e, nel frattempo,  ne ha chiesto la sospensiva facendo ricorso al Consiglio di Stato il quale però,  non la ha concessa ed ha fissato l’udienza nel merito per il giorno 3 dicembre 2015 (data in cui oltretutto ricorre la giornata internazionale delle persone con disabilità).

Perciò, anche il Consiglio di Stato ha stabilito che  è stato illegittimo non applicare le tre sentenze e continua ad esserlo tutt’oggi dato che la situazione di fatto non è cambiata. Ciò a causa di  un sistema politico che cerca di far cassa su alcune categorie di persone, a dispetto di qualsiasi sentenza e violazione dei diritti umani.

Ma un sistema per essere forte ha bisogno di complici: in questo caso i mass media.

Un primo aspetto da analizzare è che in diversi talk show volti al dibattito politico, si è strategicamente omesso di dire che il cd. Decreto sul “nuovo ISEE” non deve essere applicato perché è illegittimo data l’esistenza delle tre sentenze e la negazione al Governo della loro sospensione.

Un secondo aspetto che induce a onestà intellettuale ed etica, è che dall’inizio dell’azione giuridica collettiva delle persone con disabilità contro il nuovo ISEE, molti dei partecipanti sono morti.

Qualcuno su un social network,  si è chiesto se quelle persone fossero  decedute a causa dell’abbandono e della mancanza di sostegno tanto da  arrivare (forse) a configurare una  ipotesi di “assassinio” a causa della scellerata azione pubblica. Ma a quel dubbio è stato risposto, con sdegno, che nessuno avrebbe potuto essere accusato e sentirsi – tantomeno a livello personale e nell’espletamento del proprio dovere istituzionale – colpevole di omicidio.

Stessa “immunità” di coscienza dovrebbe aver pensato di averla anche la classe politica al Governo, al momento in cui  si son contati anche decessi di persone con disabilità durante manifestazioni per rivendicare sacrosanti diritti come la libertà di scelta, il rispetto e la dignità….

Inoltre, su  una presunta colpevolezza sorgerebbero altre  domande:

  1. come si può ipotizzare di stabilire un nesso tra l’azione della politica e quelle morti imputando l’evento alla mancanza di sostegno?
  2. come si  può ipotizzare di imputare i decessi alla fatica  durante una manifestazione di persone già in condizione grave,  e che per giunta scelgono “liberamente” di combattere anche al di la delle proprie forze…..?…..
  3. come si può ipotizzare che  una comunicazione mediatica, supponendo di parte,  influisca sia sul rafforzamento di un sistema governativo  prevaricatore che  sulle vite di tutti gli interessati….? ……….

Proviamo a rispondere a queste domande partendo da Amartya Sen, un economista indiano che “si è preso il disturbo di partecipare ai dibattiti di etica” (cit. A. Sen) e che, grazie a ciò,  con la sua concezione basata sull’etica sociale che considera la libertà individuale come impegno sociale. valore centrale e aspetto fondante  della società, ci fornisce delle risposte esaurienti anche rispetto alle eventuali “responsabilità” non assunte  (morali e materiali) da parte di chi dovrebbe agire per il bene comune di tutti i cittadini.

Sen versus Gugeld: un economista “etico” contro un economista “economicista utilitarista”

La concezione di A. Sen, che vede la libertà individuale come valore centrale e aspetto indispensabile della società, si basa sull’etica sociale  i cui più grandi  problemi sono proprio di natura economica. Eppure, secondo Sen, questo tipo di libertà ha una importanza reale perché ha grandi conseguenze per una valutazione sia delle Istituzioni sociali che delle scelte politiche.

Quindi, bisogna partire dai problemi della vita quotidiana delle persone e dalle loro concrete esigenze. Invece, le scelte della politica a tutt’oggi, poggiano su un semplice calcolo di utilità economica (guadagno) che deve essere tratta proprio dalle persone come fossero merce di scambio. Ecco allora che la politica non guarda all’etica sociale e  assolda economisti  di impostazione esclusivamente “economicista”  – cioè con una idea totalitarista dell’economia e del modo di produrre ricchezza  – che diventa il perno centrale da cui partire per pontificare su ogni esigenza e attività umana. Una prospettiva  che vede  lo stato sociale come  un peso da limitare fino allo stremo  o, comunque, da dirottare ed usare come  uno strumento per alimentare il terzo settore. Ma lo Stato sociale è fatto di persone. Lo Stato siamo tutti noi, perciò alcuni, in particolare le persone con disablità, vengono considerate un peso nonché oggetti da usare per nutrire  il terzo settore.

Nel tempo abbiamo assistito alla successione solo  di tecnici cd. economisti ma in realtà economicisti, che non guardano all’etica e alle persone perché vedono solo nei tagli lineari la soluzione al disavanzo pubblico.  Un esempio ad oggi,  è l’attuale commissario alla spending review Yoram Gugeld, economista italiano, che ha rilasciato dichiarazioni preoccupanti rispetto alla soppressione  delle erogazioni in favore delle persone con disabilità (in particolare l’assegno di accompagnamento corrisposto  a favore di chi ha una disabilità non inferiore al 100%). Tali esternazioni – dalle quali emerge una assoluta disinformazione sulle persone con disabilità – sono apparse basate esclusivamente su motivazioni di ordine economico (che non  corrispondono a reali vantaggi in tal senso) e non curanti dell’impatto concreto che scelte scellerate potrebbero avere sulla qualità della vita  degli  individui coinvolti  (Vedere  in: “Governo: analisi personale delle dichiarazioni del commissario alla spending review”).

In quelle dichiarazioni non c’era traccia di etica in generale,  tanto meno di quella sociale e cioè il rispetto della qualità della vita e della libertà individuale (dunque, di scelta) delle persone interessate. Una assenza di etica ravvisabile  anche guardando alla leggerezza con cui si è inneggiato ai tagli (per tutti i cittadini) per i presunti sprechi nella sanità (Vedere in: “Gutgeld: tagli alla sanità, così risparmiamo 10 miliardi”).

La cosa ancora più inquietante è che tutto ciò accade in un Paese dove il disavanzo è principalmente causato dalla corruzione dilagante ed influisce in maniera massiccia sul PIL. I dati provengono anche dall’Unione Europea al 2014: per combattere tali fenomeni – ancor prima – nel 2012 è stata varata una riforma anticorruzione, ma evidentemente l’UE l’ha ritenuta insufficiente e nel quotidiano il problema resta (Vedere in: “Relazione della Commissione Europea sulla lotta alla corruzione”).

Eppure il Governo “economicista” non guarda ai costi della corruzione ed interviene negando la giusta protezione sociale ai cittadini, creando impoverimento , comprimendo la libertà individuale con  conseguente  esclusione sociale. Tutto questo si ripercuote ancor di più sulle categorie più svantaggiate.

A questa politica già possiamo iniziare ad introdurre e  contrapporre A. Sen (il nostro economista etico) che  in riferimento al reddito, parla proprio delle persone con disabilità evidenziando che anche a parità di reddito con un cd, normodotato, se questo lo si spende per sostenere i costi della disabilità (sostegno, esigenze di vita quotidiana volte all’indipendenza o cure) allora quella persona sarà povera perché deve destinare quella somma al suo svantaggio,

Ma c’è di più: in Italia attraverso la propaganda mediatica, si omette di dare la giusta informazione (come nel caso dei tre ricorsi al TAR VINTI dalle persone con disabilità e famiglie che rendono inapplicabile – perché illegittimo – il nuovo ISEE), si inneggia a sproposito ai “tagli lineari”  su  alcune categorie più vulnerabili prese di mira, si promettono  strabilianti risparmi e si fomenta l’opinione pubblica ad additare alcuni più di altri come colpevoli di sprechi.

Malgrado ciò, se combatteremo anche con la memoria e la cultura l’arroganza di chi ritiene tutti ignoranti (pregiudizio vergognoso verso le persone con disabilità), scopriremo che è proprio Sen che – sia in teoria che in pratica  – abbatte ragionevolmente e nel rispetto dei diritti umani anche gli odierni economicisti (che parlano a sproposito di equità sociale per giustificare gli scempi) attraverso la concezione dell’etica sociale e della libertà individuale, quasi fosse fuori dal tempo e dello spazio. Quindi,  valida sempre e universalmente. Vediamo perché.

L’azione politica tardiva,  volta ai tagli e alla carità, è responsabile di eventuali morti?

Partiamo dalla prima e dalla seconda domanda che abbiamo precedentemente posto: come si può stabilire un nesso tra l’azione della politica e quelle morti (persone con disabilità) imputando l’evento alla mancanza di sostegno (vedi tagli lineari vuoi per i criteri dell’ISEE o per la negazione vera e propria di contributi  volti all’assistenza e all’indipendenza)?…..

Per rispondere  e riallacciarci a A. Sen,  dobbiamo porre un’altra questione: la scarsa disponibilità delle risorse, a cui la politica fa sempre riferimento in caso di abbattimento dei costi, può essere paragonata ad una “carestia” in termini di intensità?….. Questa domanda comporterebbe da parte del decisore pubblico una risposta affermativa,  tale da giustificare ogni sua azione volta ai tagli lineari. Ma anche assumendo  il paragone tagli/carestia come fattibile, è proprio vero che anche durante i periodi di “grande scarsezza” le risorse mancano effettivamente o è un altro il motivo che comporta l’impossibilità ad averle?……..

Ci risponde A. Sen prendendo a riferimento la carestia del Bengala del 1943 ed estendendo in seguito il paragone con le grandi carestie mondiali avvenute nel tempo. In quell’occasione (scrive Sen) morirono circa tre milioni di persone nonostante le privazioni riguardarono solo alcune categorie professionali mentre per il resto della popolazione le cose andavano in maniera quasi normale. Anzi, in quella ciecostanza la quantità di risorse in Bengala non era neanche particolarmente bassa. Eppure le autorità impostarono un piano pubblico adeguato tardivamente, affidando l’urgenza all’insufficiente carità privata, che si tradusse in un grave fallimento sociale.  Fallimento perché quelle morti (appura Sen) non furono di per se collegate alla carestia ma al fatto che quei tre milioni di persone (a differenza della maggior parte della popolazione) non avevano i mezzi  per procurarsi quelle risorse.  In altre parole, non avevano alcun modo (diritto negato) o canale preferenziale perché fuori da gruppi in grado di farsi riconoscere quei diritti. Così, tutte quelle persone provate ed indebolite soccombero per mano di   una politica pubblica tardiva e data l’impossibilità di accedere al necessario sostegno per poter continuare a vivere. “Non solo morirono. Furono uccisi” (cit. ripresa da A. Sen).

Oggi molte  persone con disabilità già non possono accedere al welfare (quindi non hanno alcun mezzo per accedere allo Stato sociale) a causa delle irrisorie soglie ISEE e, ancor di più, con l’illegittimo Decreto n. 159/2013 che rende  reddito disponibile (ai fini dell’accesso) somme destinate ad esigenze vitali in assenza delle quali soccomberebbero al peso della loro stessa condizione di disabilità. Anche in questo caso le risorse non sono tanto scarse se pensiamo alle rendite di posizione della classe politica, alle tasse che tutti noi paghiamo e alla famosa corruzione dilagante che non si vuole perseguire.   Le persone con disabilità non hanno altro modo – a fronte di diritti negati – per procurarsi il necessario sostegno,  se non quello di difendere con forza i propri diritti umani fondamentali  che il Governo vuole togliergli tra promesse non mantenute o attraverso la non applicazione di sentenze cogenti ed immediate. Inoltre,  durante questa “resistenza” al Governo indifferente e aggressore,   parecchi sono deceduti, schiacciati proprio dal peso di vivere e dalla negazione dei più elementari diritti umani.

Domanda: potrebbe dunque ravvisarsi in questo caso una responsabilità grave di una politica pubblica,  addirittura omissiva, volta a temporeggiare illegittimamente, tale da impedire il dritto ad  accedere  alle risorse e,  di conseguenza,  da costituire il nesso causale che ha favorito quelle morti ….?…. .Altra domanda: “non solo morirono. Furono uccisi…..?” (come direbbe A. Sen).

L’azione politica che impedisce la libertà individuale, assoggetta al rischio di morte?

Torniamo di nuovo alla prima e alla seconda  domanda:  come si può ipotizzare di stabilire un nesso tra l’azione della politica e quelle morti per  mancanza di sostegno così come imputarle alla fatica  durante una manifestazione di persone già in condizione grave, che per “scelgono liberamente” di combattere anche al di la delle proprie forze…..?…..

Per continuare a rispondere, ed argomentare ulteriormente le riflessioni del presente scritto,  poniamoci un’altra questione: data la mancanza generale di sostegno economico, le persone con disabilità  avevano davvero la possibilità di scegliere liberamente come agire fino, a volte, ad estreme conseguenze? O questa libertà è solo apparente perché in realtà è stata sottratta,  tanto da  costituire un ulteriore nesso causale (oltre alla mancanza di mezzi per accedere più che alla scarsità delle risorse)  dell’evento morte…?… Di quale libertà parliamo ?….

Torniamo a A. Sen e alla carestia del Bengala del 1943: nel Bangladesh scoppiarono violenze etniche tra indù e musulmani. Si trattava di un territorio con tessuto misto e le uccisioni avvenivano da entrambe le fazioni. Un lavoratore giornaliero musulmano venne accoltellato alla schiena perché era andato a consegnare di legna nella parte di territorio indù. Soccorso e trasportato in ospedale dal padre di A. Sen (all’epoca ancora bambino), l’uomo raccontò che la sua famiglia aveva tentato di dissuaderlo dall’uscire per via dei pericoli, ma andò ugualmente perché non avevano nulla da mangiare. Morì in seguito in ospedale.

Questo ha portato  A. Sen a ripensare alla causa principale per cui quell’uomo pagò quel prezzo così alto  e ne ha dedotto che la mancanza di “libertà economica” lo costrinse a correre il rischio.

A questo punto qualcuno si chiederà: ma cosa c’entra tutto ciò con l’atto materiale (in quel caso) di chi ha accoltellato?….

Inoltre, la libertà economica può essere messa in relazione  con la libertà individuale,  in senso ampio,  quale bene che se sottratto può portare a eventi estremi tanto da, nel nostro caso, accostare l’esempio alle odierne vicende delle persone con disabilità?

Premettiamo un punto: non c’è libertà individuale se non c’è libertà economica. La mancanza di possesso di titoli (non avere il diritto) per accedere alle risorse o lo stare fuori da gruppi in grado di farseli riconoscere (laddove non collusi con chi li nega ovviamente),  “costringe” le persone a determinate “scelte” . Perciò  è improprio definirle  “scelte” se derivano da costrizione. Oggi le persone con disabilità non hanno libertà economica dunque, non hanno libertà individuale  perché leggi scellerate tentano di comprimere sempre  di più questa mancanza di libertà tanto da assoggettare “tutti” gli interessati  sia al rischio di morire sia in assenza (in se e per se)  di sostegno,  sia per la circostanza di dover spendere energie già ridotte, per difendere se stessi e  quel poco che gli spetta.

Per capire meglio questo aspetto dobbiamo chiarire ancor di più cosa è la “libertà individuale” in senso ampio.

L’azione politica: quale libertà rubata e quale responsabilità?

Esistono due tipi di libertà: la “libertà di” e la “libertà da”.

La “libertà di” riguarda ciò che, tenuto conto di tutto, una persona può o meno conseguire nella vita. In questo caso però l’interesse non è se l’incapacità da parte di una persona di raggiungere un certo obiettivo sia dovuta alle “restrizioni imposte da altri individui o dal governo”.  La “libertà da” invece, riguarda l’assenza di limiti che una persona può imporre a un’altra, o che lo Stato e altre  Istituzioni  possono imporre agli individui. Queste due libertà nel tempo sono state separate, dando importanza quasi esclusiva alla “libertà da” cioè al non imporre limitazioni (nel nostro caso da parte del governo).

A. Sen invece ricorda che personaggi come Aristotele, Gandhi e Roosvelt hanno mostrato molto più interesse verso la “libertà di”.  Secondo Sen, se riteniamo importante che una persona sia “libera di scegliere” e quindi di essere messa in grado di condurre la vita che preferisce, allora dobbiamo pretendere la “libertà di”. Immagino anche che Roosvelt ne fosse ancora più consapevole essendo stato uno dei più grandi Presidenti americani, ma anche persona con disabilità che nascose di avere la  poliomielite e di fare uso della carrozzina altrimenti l’opinione pubblica l’avrebbe considerato troppo debole per guidare il mondo libero (paura fondatissima ed un pregiudizio che permane).

Allo stesso tempo, anche la “libertà da” va pretesa perché è negativo per una società rendere incapaci le persone con disabilità di accedere ai luoghi pubblici a causa di ostacoli posti da altre persone. Peggio ancora: l’ingerenza di altri nella vita di una  persona (nel nostro caso quella delle Istituzioni), può avere conseguenze intollerabili oltre alla mancanza di “libertà di conseguire o meno determinati obiettivi” che ne può derivare: una di queste è, appunto, l’evento morte.

Perciò Sen ritiene che un’adeguata concezione della libertà deve intrecciare – dal punto di vista etico – sia quella “di” che quella “da”.  Infatti, nel caso del lavoratore giornaliero musulmano, lui avrebbe “scelto di continuare  a vivere” (libertà di condurre la vita che avrebbe preferito) ma la sua “scelta” e la sua conseguente  morte lo privarono  di questa “fondamentale libertà di”. Tuttavia,  la cosa più terribile è che questa privazione è stata determinata dall’atto offensivo di un assalitore, che gli ha imposto  un limite sottraendogli  la “libertà da”, non dalla natura rispetto all’età o da malattia.  Non solo morì: fu ucciso (cit. A. Sen). Se invece l’uomo non avesse accettato il lavoro retribuito, allora, di nuovo, avrebbe perso la sua “libertà da” e cioè quella di accettare un lavoro a causa di ingerenze (in quel caso con precise  intenzioni omicide) da parte di altri. Inoltre, fu spinto ad agire in un certo modo prima di tutto dalla sua povertà e dalla conseguente mancanza di vivere la vita che avrebbe preferito (libertà di). Anche se povertà e mancanza di “libertà di fare” non sono sempre collegabili alla mancanza di “libertà da interferenze”, in quel caso l’atto omicida fu dovuto ad una estrema violazione da parte di altri che lo hanno privato anche della sua “libertà da ingerenze esterne”.

Qualche domanda:  rispetto alle persone con disabilità decedute, senza sostegno e/o durante delle manifestazioni, queste avrebbero scelto di continuare a vivere la vita che avrebbero preferito, ma le azioni pubbliche vessatorie e  le loro morti potrebbero averle  private della loro “libertà di” tale scelta?…..

L’atto offensivo della morte, potrebbe ravvisarsi nell’operato di uno Stato “assalitore” (anche se non con intenzione omicida ma probabilmente con  colpa cosciente) che ha agito con ingerenza – illegittima come da sentenze o negazione dei diritti umani alla libertà di scelta – sottraendo a tutti anche  la “libertà da” tale interferenza …? …..

Quelle morti  son state dovute a fattori naturali come l’età, la malattia, oppure sono imputabili alla fatica di vivere e,  di conseguenza, alla spinta a  combattere (oltre le proprie forze) per gli inviolabili e vitali diritti nonché bisogni primari….? …

Non solo morìrono: furono  uccisi…?….. (come direbbe A. Sen).

Il ruolo dei mass media: prevenirne la scarsezza delle risorse si può? Ci sono o non ci sono?

Apriamo ad un altro punto: se l’impegno sociale (secondo Sen) nei confronti della libertà individuale deve guardare all’intrecciarsi di entrambe le libertà rendendola effettiva, come lo si può fare in concreto? E la scarsezza di risorse può al limite essere prevenuta….?

Per rispondere dobbiamo andare alla terza domanda che abbiamo posto all’inizio di questo scritto: una comunicazione mediatica, ipotizzata  di parte,  può influire sia sul rafforzamento di un  sistema governativo  prevaricatore che  sulle vite di tutti gli interessati….? ……….

Replichiamo sempre con A. Sen, il quale ritiene che sistematici interventi pubblici consentono di prevenire le carestie ma le misure di prevenzione non possono  essere efficaci se non vengono applicate appena si presenta la minaccia di una potenziale scarsezza di risorse. La natura pluralistica e democratica di un Paese è la “minaccia” che mantiene i governi attenti e permette di prevenire le carestie. Il proseguire di politiche di governo disastrose, è  reso possibile dalla natura non democratica del sistema politico di un Paese. Diverse e molteplici  libertà, come quella di criticare, di pubblicare, di votare, sono collegate come causa da cui derivano  altri tipi di libertà come quelle di sfuggire alla fame e alla morte. Nella storia difficilmente (secondo i suoi studi) si è trovato un caso in cui si sia verificata una carestia mondiale  in un Paese con una stampa libera e un’opposizione attiva entro delle Istituzioni democratiche. Al contrario, quando un governo non si sente “minacciato” ne da un’opposizione, ne dall’azione dei cittadini e nessun giornale quotidiano (ai nostri giorni anche talk show di natura politica) avanza critiche alle politiche pubbliche (nel nostro caso blande o assenti rispetto agli sprechi veri di altra natura che però coinvolgono proprio le Istituzioni Pubbliche stesse), allora si incorrerà in veri e propri abusi nei confronti dei più deboli.

La “libertà da” (dunque la libertà da ingerenze) della stampa e dei partiti di opposizione di criticare, scrivere e organizzare la protesta è efficace e fondamentale nella salvaguardia della libera scelta alla qualità della vita da condurre (libertà di) della popolazione più vulnerabile.

In Italia la libertà di voto è una grossolana facciata (candidati imposti dai partiti e non scelti direttamente  dai cittadini nonché rimescolamenti di personaggi e gruppi politici), l’informazione  ha sempre qualche “padrone” con un determinato stampo politico cosi che,  il criticare e lo scrivere subisce il condizionamento  delle varie appartenenze (apparte qualche rara eccezione).

Nel caso delle persone con disabilità il Governo non può certamente essersi sentito allertato e “intimorito” perché ne stampa ne talk shaw fanno alcun riferimento che il Decreto sul cd. nuovo ISEE è illegittimo perché sono stati vinti dei gradi di giudizio da parte delle persone interessate: dunque è inapplicabile (nella parte in cui le erogazioni a loro favore costruirebbero reddito disponibile)  ma non se ne tiene conto e nessuno ne da notizia (ne giornali, ne trasmissioni televisive).  La rete ed i social cosi come i blog personali,  sono l’unico strumento a disposizione per dire la verità.

Gli stessi mass media che quando accade un evento tragico, imputa l’accaduto a puro pietismo da cd. “disabile subnormale” senza guardare al fatto che si tratta di  persone che hanno il coraggio di rivendicare certe  esigenze senza compromessi e mettendo in gioco il bene più prezioso: la vita.

Da un economista indiano alla Convenzione ONU delle persone con disabilità

Il presente scritto deve essere letto ricordando che quelle che ci vengono proposte dai governi nel tempo, non sono verità assolute ma, anzi, spesso frutto di interessi o ignoranza vera o finta tale per continuare ad operare in modo discutibile.

La prova che non hanno lo scettro della sapienza ce la forniscono alternative e studi concreti fatti da personaggi come Amartya Sen (e dai suoi successori) la cui concezione della qualità della vita  e delle “capacitazioni” è alla base della Convenzione ONU delle persone con disabilità. Quindi non è un’astrazione: è realtà. Non accontentiamoci di ciò che ci fanno credere. Oltretutto A. Sen aveva presentato la sua etica sociale anche in Italia nel 1999, ma la memoria forse è volutamente corta.

Leggendo ognuno rifletterà e trarrà le sue conclusioni, anche rispetto ad eventuali responsabilità: per colpa di chi….?……..c’è davvero una immunità da responsabilità da parte delle Istituzioni?

Ciò che va restituito alle persone con disabilità è il diritto a vivere secondo libertà di scelta, dignità umana e rispetto. Riprendiamoci la libertà, la possibilità di vivere, desiderare e decidere quel che è meglio per noi come può fare chi è definito normodotato.  Rendiamo il 3 dicembre (giornata internazionale delle persone con disabilità) la ricorrenza della nostra liberazione. Allarghiamo l’orizzonte visivo anche al di la dei nostri confini perché abbiamo molto da imparare anche da un piccolo grande economista indiano.

Non solo morirono. Furono uccisi…..: basta vittime potenziali e reali. Non si può continuare con una politica volta all’eutanasia sociale ma bisogna proseguire con una politica volta all’etica sociale, che è possibile, come dimostrano gli economisti etici

16/10/15

 Eleonora Campus

fonte: http://eleonoracampus.com/2015/10/16/dai-tribunali-alle-manifestazioni-quei-tagli-illegittimi-alla-disabilita-e-le-vite-spezzate/