La città della felicità

Oggi come ieri, le persone con disabilità sono sottoposte a una logica che le vede come oggetti passivi da utilizzare e non come soggetti attivi autodeterminati e liberi come tutti.

Si tratta di individui pesati secondo criteri esclusivamente di convenienza economica. Da una parte, l’utilità di queste persone – secondo questa ottica di abuso – è alta quando si tratta di espropriarle della loro libertà di scelta e dei loro diritti fondamentali, facendole confluire obbligatoriamente in servizi e prestazioni imposti dal terzo settore. L’alimentazione del sistema è ghiotta e prevarica altri esseri umani. Dall’altra parte, la persona con disabilità è vista come un peso da eliminare laddove ha bisogno di cure e supera determinate soglie di spesa oltre le quali l’erogazione dei trattamenti sanitari non è più considerata conveniente. L’etica della cura dunque è sostituita dall’etica della guarigione. Le risorse esigue sono il pretesto per non assistere persone curabili ma non guaribili. Ci si trova dunque di fronte a una nuova forma di eugenetica basata sul risparmio.

Ecco che, in entrambi i casi, non viene riconosciuta alle persone con disabilità e/o non autosufficienti la loro “vitalità” e la possibilità di partecipare alle scelte che li riguardano. Invece si tratta di persone “vive”, più di tante altre che si sentono al sicuro da certi problemi, che esistono anche fino al momento dell’ultimo respiro. (cfr. “i voucher: un’occasione da cogliere o una verità ingannevole?” e ““assistenza domiciliare non professionale: un diritto garantito a metà e non sempre. L’inganno socio-sanitario”).

Partiamo da una domanda: si può accettare la violazione dei diritti fondamentali anche di un solo essere umano per non far saltare un sistema e garantire la felicità di una maggioranza di persone “catturando” altri uomini o eliminandoli di fatto laddove non alimentano alcun sistema? Per rispondere a questa domanda, vi racconterò una storia di “fantascienza”….ma siamo sicuri lo sia…?……

C’era una volta ….. (da un racconto di Ursula K. Le Guin, nel 1979: “Quelli che si allontanano da Omelas”)

“C’era una volta” la città di Omelas…. Qui domina la felicità e la celebrazione della convivenza civile. E’ un luogo senza re né schiavi, senza slogan pubblicitari e senza borsa valori. Non ci sono neppure armi di distruzione di massa ne polizia segreta. Gli abitanti non sono barbari. Nemmeno sempliciotti. Sono gente “come noi”. La perfezione però ha una condizione. “In un seminterrato, sotto uno dei bellissimi edifici pubblici di Omelas, o forse nella cantina di una delle spaziose case private, c’è una stanza. Ha una porta chiusa a chiave e non ha finestre (…)”. E nella stanza è richiuso un bambino, ritardato, denutrito, trascurato, che vive giorno dopo giorno nella più squallida desolazione. Tutti gli abitanti di Omelas sanno che è li e che deve stare li in condizioni disumane e tutti sono andati a vederlo tornando a casa distrutti. Però tutti sanno che “la loro gioia, la bellezza della loro città, la tenerezza delle loro amicizie, la salute dei loro figli ….perfino l’abbondanza dei loro raccolti e il clima benigno dei loro cieli, dipendono interamente dall’abominevole infelicità di quel bambino…”. Se a quel bambino fosse data un po’ di felicità, gli i abitanti di Omelas non godrebbero più di quella gioia e di quella pace.

Anche chi ne rimane disgustato non può far nulla. Conoscono la pietà ma loro come il bambino non sono liberi. “Scambiare tutto il bene e la grazia di ogni vita di Omelas per quel piccolo unico miglioramento: gettare via la felicità di migliaia di persone per la possibilità di renderne felice una sola….”: questo è il motivo per cui si permette una cosa simile. “Se il bambino venisse portato alla luce del sole, fuori da quel posto fetido, se venisse lavato, nutrito e confortato sarebbe una bella cosa ma in quel giorno e a quell’ora tutta la prosperità, la bellezza e la gioia di Omelas avvizzirebbero e verrebbero annientate. Queste sono le condizioni”. Il silenzio è il complice dell’atrocità.Quella della città felice è una perfezione assoluta che si può raggiungere al prezzo dell’eliminazione dell’imperfetto .

Alcuni però rifiutano quello stile di vita e “lasciano Omelas, procedono nell’oscurità, e non tornano indietro. Il luogo verso cui si dirigono è un luogo ancora meno immaginabile, per molti di noi, della città della gioia. Non posso descriverlo. E’ possibile che non esista. Ma sembra che loro sappiano dove stanno andando, quelli che si allontanano da Omelas”…….“E voi cosa fareste? Rimarreste o ve ne andreste?”…..

Restate, allontanatevi e incamminatevi

Le condizioni utilitariste – a discapito di un singolo o di una minoranza, sono moralmente accettabili se portano un beneficio per tutti gli altri?……La risposta è NO: i diritti fondamentali dell’uomo non possono essere violati barattandoli con la produzione di una “città della felicità”; violare i diritti anche di un solo “innocente” sarebbe ingiusto, pure se dovesse servire a rendere felice una moltitudine. Eppure esiste ad oggi la modalità di sacrificare i diritti di una minoranza a favore di una maggioranza. Ogni dittatura ha iniziato così. Le persone con disabilità vivono questa situazione giornalmente con la loro gestione da parte di altri e l’esclusione aggressiva dal diritto di far fronte liberamente, secondo scelta, alle esigenze di vita quotidiana e alle cure. La vera libertà è dire NO a ogni violazione dei diritti umani.

Se non ritenete sia accettabile la sofferenza anche di un solo uomo in cambio della felicità di un popolo, allora incamminatevi sulla via per allontanarsi da “Omelas” perché l’Italia si sta trasformando in “Omelas”.

Di fronte alle violazioni che vivono una minoranza di persone, rimbombano nelle nostre orecchie gli slogan (di stile totalitarista camuffati da buonismo) della classe politica che inneggia alla felicità, alla bellezza, alla società civile e al sistema terzo settore come baluardo della ripresa economica. E gli abusi proseguono in modo via via crescente. Allontanarsi però non è inteso nel senso di fuggire. Allontanarsi significa incamminarsi rifiutando un certo stile di vita che vede la cattura e l’utilizzo di altri uomini, Significa impegnarsi nella lotta affinché le cose cambino. Significa agire con coscienza.

Ognuno lo deve fare individualmente o con pochi altri che prendono coscienza, perché non ci si può aspettare che il sistema crolli tutto insieme o che la maggioranza possa prendere coscienza degli abusi su pochi se la cosa non li tocca o gli porta, al contrario, vantaggi come nel caso pure di mediatori privati di categoria. Si può decidere di fare sentire la propria voce e ottenere risultati inaspettati. Si può decidere di tentare di migliorare la qualità della propria vita, di altre persone con i nostri stessi problemi o quella di qualche persona domani anche sapendo di giocarsi il tutto e per tutto e non tornare più indietro. Si può scoprire che l’uomo comune è il vero grande e nel momento più difficile della sua vita può fare miracoli e lasciare il segno. La memoria non può essere corta. E’ un segno indelebile che chiama nella Pasqua della resurrezione e nel lunedì dell’ Angelo.

Buona Pasqua della resurrezione e lunedì dell’ Angelo .

Eleonora Campus

fonte: https://eleonoracampus.wordpress.com/2015/04/04/la-citta-della-felicita-lepurazione-dellimperfetto/