Negare l’assistenza indiretta può configurare una ipotesi di reato partendo dal diritto alla privacy?

Autore: Eleonora Campus

Se non avete altro da fare nei prossimi cinque minuti, mettetevi comodi e con una buona bibita fresca in mano leggete questo articolo che sicuramente vi interesserà.

Le persone disabili in Italia hanno il diritto di scegliere il tipo di assistenza di cui usufruire ai sensi della dell’art. 3 comma 3 della legge 104/92, ed il ricorso all’assistenza con modalità “indiretta” è diventata la più utilizzata dagli interessati.  Con questo tipo di assistenza è la persona a scegliere il suo assistente personale assumendolo regolarmente con busta paga a norma di legge.  A questo scopo, le persone disabili gravi e le famiglie con disabili gravi a carico ricevono un contributo (quindi erogazioni dirette) dai Comuni.  Abbiamo già affrontato in generale e come principi inviolabili, sia per le esigenze di assistenza di base che di indipendenza, l’importanza della libertà di scelta e delle erogazioni dirette nell’articolo “I voucher: un’occasione da cogliere o una verità ingannevole? Clicca qui”.

Il diritto a ricorrere all’assistenza indiretta è tutelato dalla legge 162/1998. Ma il diritto di scelta lo garantisce anche la Convenzione ONU delle persone con disabilità (ratificata con legge 18/2009): in particolare si veda l’articolo 19 “Vita Indipendente”. In tal senso, è bene sottolineare, anche i progetti di Vita Indipendente per l’assistenza indiretta prevedono che alla persona con disabilità venga assegnata una somma di denaro da destinarsi all’assistenza personale.

Questa somma poi, è molto inferiore a quello che costerebbe mensilmente un altro tipo di modalità di assistenza, la cd. diretta, nella propria abitazione.  Con la modalità diretta i servizi sono offerti dal servizio socio-assistenziale. L’Ente pubblico fornisce personale assistente attraverso cooperative a cui ha “appaltato” il servizio.  Purtroppo, la maggior parte delle volte, la scelta della modalità indiretta –  nonostante le norme –  è stata ed è a tutt’oggi di fatto negata oppure i soldi per le famiglie sono stati tagliati. Invece, quando si tratta di assistenza diretta, nonostante il costo maggiore, il discorso cambia e non si incontrano certe difficoltà: l’Ente Pubblico la “favorisce”, si accede più facilmente e i tagli non sono altrettanto tragici.

Di fronte alla prospettiva del nulla, le persone disabili sono costrette ad accettare l’assistenza diretta, che in realtà in genere non vogliono e che spesso non è adatta alle loro esigenze. Altrimenti dovrebbero rinunciare all’assistenza ma come si può rinunciare a un’esigenza vitale?

Alcune volte poi, si è ipotizzato che la coercizione sarebbe stata ancora più grave perché (doveroso il condizionale) indotta proprio dall’Ente Pubblico: secondo alcuni ci sarebbero stati casi di persone che hanno fatto domanda di assistenza indiretta, sono state collocate per anni in lista di attesa, ma nel frattempo gli sarebbe stato imposto di usufruire dell’assistenza diretta altrimenti avrebbero perso il diritto alla modalità indiretta. Se questa ipotesi fosse vera – ma dobbiamo mantenerci su un ragionamento trattandosi di una circostanza non confermata o che pochi sarebbero disposti a confermare per timore – sarebbe gravissimo perché le due forme di assistenza sono distinte quindi, si configurerebbe una ipotesi di ricatto che possiamo tradurre in “o questo o niente”.

In generale poi, rispetto all’assistenza (sia di base che volta all’indipendenza) c’è una ulteriore criticità a monte: il diritto all’assistenza non è un diritto esigibile dallo Stato ma è “concesso” dai singoli Comuni. Accade perciò che nonostante la titolarità di un diritto sacrosanto, ogni Comune fornisce l’assistenza con l’unico criterio di un budget economico limitatissimo per cui, specialmente quando si tratta di assistenza indiretta e vita indipendente, chi è arrivato “prima” ha potuto accedere, chi invece è arrivato “poi”, è finito in lista di attesa in molti casi addirittura per anni.

La politica dovrebbe agire per il bene comune e per promuovere la vita più desiderabile qualitativamente dei suoi cittadini, garantirli nei loro diritti fondamentali e non permettere al mercato di prendere il sopravvento. Ma se di fatto questo non succede ogni volta che non si può godere di un diritto umano sacrosanto e inviolabile, bisogna capirne i perché e iniziare a chieder conto e a far si che le persone disabili si tutelino.  E per capirne i perché bisogna partire dall’analizzare il contesto entro il quale il decisore si muove.  Nel nostro Paese il sociale è largamente gestito dal privato (miracoli della sussidiarietà orizzontale) che poggia sulle cooperative sociali: gli interessi economici di settore sono alti e le persone disabili sono una fonte di ricchezza al pari di una merce quindi, di un oggetto. Il personale volto all’assistenza diretta proviene proprio da queste cooperative.  Le persone disabili sono il “nuovo oro”. E se di fatto a rimetterci sono le persone disabili e le loro famiglie – oltretutto a costi più elevati –  poco importa. C’è un sistema cannibale che si alimenta (a un costo salato sia economico che morale) della vita altrui.  Tutto questo fa pensare che ci troviamo davanti a un gigante difficile da abbattere.  Ma gli ordinamenti ci danno molte più risorse di quelle che pensiamo perciò, forse, non tutto è perduto: basta avere coraggio e “non farsi contagiare dalla mediocrità e dagli interessi dei grandi affaristi” (cit. del grande Papa Francesco).

Se vi sembra che i principi e le leggi sono lettera morta perché non applicati nella realtà, vorrei lanciare una teoria azzardata (ma non troppo) che mi fa pensare che si possa configurare una precisa ipotesi di reato (quindi punibile penalmente) ogni volta che non si rispetta la scelta delle persone interessate e gli si impone la presenza in casa propria di un operatore di cooperativa in modalità diretta.  In questo senso ci viene in aiuto un preciso diritto umano inviolabile e fondamentale: quello alla vita privata (cd. Privacy) che forse troppo spesso le persone sottovalutano.

La Convenzione ONU delle persone con disabilità all’art. 22 c. 1, sancisce – rispetto alla realtà degli interessati perché in generale vale per tutti – il rispetto della vita privata come diritto umano inviolabile : «Nessuna persona con disabilità, indipendentemente dal luogo di residenza o dalla modalità di alloggio, sarà soggetta a interferenze arbitrarie o illegali nella propria vita privata, in quella della famiglia, della propria casa, della propria corrispondenza o di altri tipi di comunicazione o ad attacchi illegali al proprio onore o alla propria reputazione. Le persone con disabilità hanno il diritto di essere protette dalla legge contro tali interferenze o attacchi».

Caliamo questo articolo nel nostro caso: “l’interferenza arbitraria o illegale nella vita privata e nella propria casa” citata nell’articolo non vi pare si ravvisa proprio nella costrizione dell’erogare l’assistenza diretta impedendo alla persona disabile di esercitare il diritto di scelta? E che perciò, ogni altra soluzione è contro questa volontà e gravemente illecita? Tu sei costretto ad aprire la tua casa a uno e più estranei e a farlo/farli entrare nella sfera privata tua e della tua famiglia. Ad orari fissati, rigidi. Mille persone entreranno in casa tua e duemila saranno dunque le mani addosso. Mani sconosciute, distratte, improvvisate che violeranno anche la tua intimità fisica, il tuo pudore, ma il tuo corpo non è un accessorio.  Non importa se hai dato un consenso perché, come abbiamo visto prima, non è valido: non eri veramente libero nel darlo ma costretto dal bisogno di assistenza. Di fronte alla negazione della modalità indiretta, non avevi altra scelta che accettare per far fronte alle tue esigenze di vita fondamentali. Peggio: in alcuni casi, forse, si è ipotizzato che hai sopportato pure un ricatto di decadenza dal diritto all’assistenza indiretta e hai dovuto accettare per forza la modalità diretta con il timore o anche l’impossibilità di dimostrare il comportamento abusivo del funzionario pubblico.

Domanda: ma se è vero che «Le persone con disabilità hanno il diritto di essere protette dalla legge contro tali interferenze o attacchi»”, dove troviamo questa garanzia e possiamo denunciare?

Risposta: questi diritti sono tutelati anche dal codice penale italiano. Infatti, all’art. 615 bis c.p. si chiarisce che nella interferenza nella vita privata, viene messa in pericolo la riservatezza delle condotte individuali o sociali (cioè dei rapporti umani) che in questi luoghi si svolgono.

All’ art. 614 c.p. si stabilisce che nella violazione di domicilio invece, viene messa in pericolo la “integrità territoriale” dell’altrui sfera domiciliare. E la casa è in assoluto un luogo sacrosanto, inviolabile contro la propria volontà o inviolabile se la volontà è stata costretta da necessità laddove si sarebbe potuto scegliere diversamente.

Anche l’Art. 14 della Costituzione stabilisce che “Il domicilio è inviolabile” perciò, protegge   la sede per eccellenza ove si svolge la vita privata: la casa. Il principio protetto è proprio che la casa è “il nostro regno” e dei nostri familiari.  Così come, l’articolo 13 della Costituzione si può estendere al diritto alla vita privata perché afferma l’inviolabilità della libertà personale garantendo la persona da ogni indebita intromissione nella sua sfera fisica e psichica. E quando uno sconosciuto entra in casa tua e ti mette le mani addosso per alzarti, lavarti, mangiare, andare in bagno e coricarti direi che si ravvisano entrambi gli elementi di violenza fisica e psichica. Anzi sull’aspetto della “violenza” il codice penale ci potrebbe dare un ulteriore aiuto ma per ora limitiamoci alla privacy e alla dignità propria di ogni persona come principio e sotto questo particolare aspetto.

L’articolo 2 della Costituzione Italiana può fare da cornice a tutto questo perché mette la persona al centro dell’ordinamento giuridico, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell’uomo.

Questo riconoscimento vale sia a livello sociale ma anche come singolo. Perciò anche la vita privata può essere assicurata ed è riconosciuta come un diritto protetto costituzionalmente.

Ma anche all’articolo 3, secondo comma, che sancisce la garanzia relativa al pieno sviluppo della persona umana, sembra poter comprendere il diritto alla privacy.

Una volta lanciata questa Teoria “azzardata”, sorgono allora le seguenti domande che però sono valide sia per le esigenze di assistenza di base che di indipendenza:

Può il decisore pubblico abusare della libertà di scelta del cittadino e di fatto violarlo nella sua sfera privata sia fisica che di relazione?

Può il decisore pubblico usare le persone e venderle sul mercato, pure a prezzi maggiori, non tenendo conto della vita che queste persone più desiderano e oltretutto entrandogli di prepotenza nel proprio regno che è la casa, violandone corpo, ambienti e equilibri familiari?

Può il decisore pubblico non sostenere la famiglia che di fatto garantisce per 24 ore alla persona disabile la sua necessità di assistenza? Perché non dimentichiamo che ogni forma di assistenza (diretta o indiretta nonché esigenze di indipendenza) non copre le 24 ore: il tempo è imposto e ridottissimo, sono le famiglie il vero ammortizzatore sociale che però si vuole depredarle destinando “all’esterno” le risorse e di fatto facendogli sopportare gratis l’onere di assistenza.

Se credete che tutto questo non sia giusto, anche se precedentemente pensavate con rassegnazione che principi e leggi fossero lettera morta, forse troverete la forza di decidere di denunciare penalmente questi abusi come un vero e proprio reato partendo proprio dalla Convenzione ONU (art. 22 c. 1) e collegandola agli articoli 614 e 615 del codice penale. Perché l’erogazione dell’assistenza diretta è una realtà effettiva, estesa e non è come l’ipotesi  di quell’Ente pubblico che, come dicevamo prima, non si può dimostrare abbia forzato una volontà con un presunto ricatto che abbiamo tradotto in “o questo o niente”. Perciò a meno che non l’abbiate scelta per vostri motivi e senza alcuna pressione, avete uno strumento in più per agire concretamente: il nostro codice penale per agire in giudizio effettivamente ed il quadro che ci fornisce sia la Convenzione ONU che la nostra Costituzione.  Al di la di ciò che deciderete o comunque la pensiate, buona riflessione a tutti.

Eleonora Campus