Disabilità: il nuovo Welfare della carità a partecipazione azzerata (II Parte)

Oggi pubblico la la seconda parte dell’ottimo di Eleonora Campus, l’originale qui.

Per leggere la prima parte cliccare qui

Gli studi sulla giustizia riferita alle persone disabili.

Gli sviluppi degli studi sulla giustizia rispetto alle persone disabili, hanno evidenziato che una nuova giustizia comporta ripensare chi è il cittadino e lo scopo della cooperazione sociale, che la comunità alla quale si appartiene, pensata in modo ristretto, mette in discussione lo scambio e la comprensione tra culture diverse e che bisogna garantire la giustizia a tutti i cittadini del mondo, a prescindere dallo Stato Nazione dove vivono. Per questo è stato proposto il modello basato sulle capacità (asse della Convenzione ONU per i diritti delle persone disabili).
Invece nell’articolo in questione, si inneggia alla partecipazione attraverso i gruppi o singoli individui con un altruistico Welfare comunitario….. e allora sorgono ancora altre domande:
• Non è forse vero che tante persone singole non faranno mai parte di gruppi e che di fatto non possono partecipare alla vita di comunità perché non riescono ad avere uno spazio? E che qualsiasi gruppo che ottiene vantaggi privati spesso calpesta le regole del vivere comune?
• Per loro non esiste giustizia se non quella elemosinata dall’appartenenza ai differenti interessi o quando si pensa a una nuova giustizia occorre avere a monte una visione più grande e differenziata dell’identità delle persone?…..I diritti umani sono proprio l’esempio di quanto sia difficile trovare delle caratteristiche personali fissate una volta per tutte e quanto siano ancora da ripensare.
• E non è forse vero che non ci può essere un serio sviluppo economico senza le condizioni che permettono agli individui di sviluppare le proprie capacità qualsiasi esse siano? Infatti proprio negli studi sulle capacità sono stati proposti modi per includere subito le persone disabili e i loro interessi in una idea di nuova giustizia, così che non vengano trattati per carità o benevolenza in un secondo tempo ma influiscano seguendo questo tipo di giustizia – e dal primo momento –  sulla scelta dei principi politici fondamentali.

Possibile soluzione: cittadini del mondo

Le persone disabili dovrebbero autoconsiderarsi innanzitutto come cittadini del mondo, liberi dai confini e ripensando ai diritti umani laddove vengano messi in discussione. Allo stesso tempo dovrebbero sentirsi cittadini di uno Stato nazionale che deve garantirgli questi diritti per dovere e non per concessione di altri soggetti.
E in ultimo le persone disabili dovrebbero sentirsi anche come membri della comunità ma non come “gabbia” dei diritti, ma come luogo dove sviluppare la propria personalità attraverso l’inclusione e il confronto con le persone insieme a cui si vive. In una parola: partecipazione ove possibile.
Forse se per primi si ragionasse liberi da confini,  ci si ricordasse che esistono diritti intoccabili e che facendoli valere si può essere cittadini del mondo, non assisteremmo a certe esternazioni e davvero inizierebbe una nuova cultura. Solamente con la cultura vera si può impedire un pericoloso regresso come quello proposto, di un Welfare solidale che col bene comune e con la cultura del diritto non sembrerebbe avere niente a che vedere.

Eleonora Campus